La crioablazione è così definita: “Il raffreddamento e la devitalizzazione in sito di tessuti, che può essere applicato e controllato in maniera precisa in modo da produrre una zona prevedibile di necrosi, per distruggere la lesione in questione e un margine appropriato dei tessuti circostanti” (Patel BC, et al. J Surg Oncology. 1996;63:256-264).
Questa tecnica permette quindi la distruzione delle cellule cancerose attraverso il loro congelamento. Rielaborata negli Stati Uniti nel corso dell’ultimo trentennio, è da diversi anni in uso anche in Italia. Vediamola nel dettaglio.
La storia
L’applicazione del freddo sui tessuti umani è una tecnica antica e ben conosciuta per il trattamento di varie lesioni: già nel 2500 a.C. gli antichi Egizi utilizzavano impacchi di ghiaccio sulle ferite per alleviarne il dolore.
Dall’effetto analgesico su traumi di genere ortopedico, si è passati a studiare l’effetto del freddo su altri tipi di patologie. Fin dal 19esimo secolo sono stati condotti molti studi per comprovare l’efficacia dell’ablazione dei tessuti e, nel 1840 in Inghilterra,, il dott. Arnott fu il primo a utilizzare la criochirurgia nel trattamento di tumori.
Tuttavia occorre aspettare i primi del ‘900 per avere una miglior padronanza della tecnica quando, grazie all’avanzamento tecnologico nella gestione e diffusione di gas liquidi, si iniziarono a trattare attivamente tumori del cavo orale e della cute. Durante i primi anni ‘60 si cominciò a disporre dei primi strumenti di criochirurgia che utilizzavano azoto liquido come criogeno. Nel 1968 Gonder e Soans introdussero la crioablazione della ghiandola prostatica con conseguente distruzione del tessuto necrotico. Nel 1970 il dott. Bonny riferì la sua esperienza su 229 pazienti trattati in ambito criochirurgico. La sua relazione rese noto al mondo accademico che i pazienti trattati con questo metodo, in ogni stadio della malattia ,avevano le stesse probabilità di sopravvivenza nel lungo termine di quelli trattati con la prostatectomia radicale. Tuttavia a causa della difficoltà nel controllare le caratteristiche di raffreddamento e riscaldamento, tale attrezzatura era utilizzata solamente in applicazioni cliniche che non richiedevano un alto livello d’accuratezza. Nel 1988 il dott. Onik relazionò sulla possibilità di monitorare in tempo reale la parte trattata usando nuovi apparecchi ecografici. Successivamente i dottori Bahne e Lee , nel 1994, apportarono ulteriori miglioramenti alla tecnica, favoriti anche dai continui progressi fatti in campo radiologico e dalla tecnologia usata per questo tipo di terapia.
Nel corso degli ultimi decenni quindi, la crioablazione si è enormemente raffinata: i generatori di freddo sono stati dotati di sistemi computerizzati per regolare in modo preciso l’erogazione dei gas o dei liquidi refrigeranti e le sonde criogeniche sono state miniaturizzate per essere meno invasive. Inoltre oggi godiamo della possibilità di “vedere” dentro il corpo umano grazie all’ecografia, la TAC, la Risonanza Magnetica, la PET ecc. Possiamo quindi individuare le aree tumorali ammalate, effettuare biopsie molto più precise anche grazie alla Fusion Biopsy e guidare al loro interno le sonde criogeniche; inoltre le immagini ci permettono monitorare i tessuti mentre vengono raffreddati dal criogeno iniettato dalle criosonde. In questo modo evitiamo di danneggiare gli organi vicini e riusciamo a colpire in modo regolato e selettivo i tumori.
La procedura
La criochirurgia quindi si impone come una tecnica mininvasiva percutanea e dal basso impatto sul corpo umano. La letteratura medica è inoltre ricca di casi in cui la criochirurgia è preferibile ad altri metodi chirurgici e/o termoablativi e questi vantaggi stanno proprio nella natura dei meccanismi apoptotici e di necrotizzazione controllata scatenati dal freddo.
Una volta diagnosticato uno o più tumori nel paziente e decisa la linea d’intervento, si procede, la maggior parte delle volte, con l’anestesia parziale; successivamente con l’ausilio della guida più adeguata al caso (Eco, PET, RMN ecc) si inseriscono le criosonde nel volume che si intende ablare. Il freddo estremo (si arriva anche a -196 °C) scatena fenomeni apoptotici e meccanismi di necrotizzazione cellulare controllata nella massa interessata portando così a morire solamente il tessuto tumorale. Il tumore, ormai necrotico, resterà nel corpo del paziente e sarà riassorbito durante il mese successivo, lasciando al suo posto tessuto sano cicatriziale.
I benefici sono tangibili: oltre al verificarsi di un effetto analgesico (motivo per il quale la criochirurgia è usata anche come palliativo nella terapia del dolore in caso di tumori molto aggressivi, estesi e metastatici), il paziente subisce lievemente l’impatto dell’intervento e avrà bisogno mediamente di solo uno o al più due giorni di degenza in ospedale; l’assenza di particolari sanguinamenti è sia dovuta alla ridotta dimensione delle sonde (e il disuso del bisturi), sia al freddo estremo il quale cauterizza i vasi sanguigni coinvolti e che nutrono loro malgrado il tumore.
Tecnologia
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All’interno di questo sito il gentile visitatore può trovare nelle apposite sezioni i casi in cui la criochirurgia è generalmente preferibile alle tecniche classiche di chirurgia a cielo aperto, laparoscopiche e ad altre tecniche d’ablazione percutanea:
criochirurgia alla prostata, reni, fegato, polmoni, pancreas, ossa, utero, seno, retto, sarcomi, metastasi subcutanee e condilomi ai genitali maschili e femminili.