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Franco Lugnani è stato il primo medico europeo ad utilizzare la criochîrurgia ad alta tecnologia in campo urologico e, da anni, gira il mondo per illustrare questa tecnica, non più sperimentale

La tecnica crioablativa consiste nella distruzione di tessuti neoplastìci mediante temperature ultra basse. Gli inizi di questa tecnica risalgono a cinquant'anni fa. È però soltanto a partite dagli anni novanta che si raffina e diffonde nel mondo. Una ripresa determinata dall'avvento della Tac e dell'ecografia, che permettono di visualizzare con precisione la palla di ghiaccio che si va a formare all'interno dei tessuti. Il dottor Franco Lugnani, specialista urologo nonché presidente della "International Society of Cryosurgery", ne spiega i vantaggi. 

Dottore, lei è stato tra i primi ad utilizzarla, in particolare nel suo settore settore specifico, l'urologia.

«Ho iniziato, ed ero il primo in Europa, nel 1993. Ho avuto da allora la fortuna di collaborare con chirurghi appartenenti anche a branche extra-urologiche. Ho viaggiato per il mondo istruendo molti colleghi circa l'utilizzo della criochirurgia. Si tratta, ormai, di una tecnica consolidata e non più ritenuta sperimentale da circa i dieci anni. Basti pensare che la American Urological Association l'ha inserita tra le "Best Practice Policy" durante i lavori di una apposita commissione avvenuti la scorsa primavera».

Si tratta, quindi, di una pratica da tenere in considerazione anche per la rimozione del tumore alla prostata?

«Chiaramente bisogna scegliere i pazienti candidati alla crioablativa. Ancora oggi la tecnica più utilizzata per il tumore della prostata è la prostatectomia radicale aperta. Questa, però, non sempre è applicabile essendo molti pazienti troppo anziani per subire un intervento così radicale o perché semplicemente contrari nel sottoporsi ad una pratica così invasiva. Come alternativa si può ricorrere alla radioterapia , ma anche questa ha le sue controindica- zioni. Ed ecco che la criochirurgia può subentrare garantendo risultati comparabili a quelli delle altre

UNA GUARIGIONE A FREDDO

L'effetto crioabiativo completo richiede il raggiungimento di una temperatura di almeno -40 C e il suo mantenimento per un minimo di circa sessanta secondi. Essendo il danno da freddo di tipo statistico, è necessario ripetere nella medesima seduta l'applicazione della sorgente raffreddante per almeno due volte consecutive intervallate da un periodo di riscaldamento di circa dieci minuti. Il risultato può essere comprovato nei tempo mediante biopsia, citologia, indagine radiologica con e senza mezzo di contrasto. Per effettuare le manovre crioablative si utilizzano sorgenti di freddo che lo veicolano dove serve mediante appositi strumenti denominati criosonde. Tali criosonde vengono inserite dentro le aree bersaglio o appoggiate sopra di esse con tecnica aperta, endoscopica o percutanea. È sempre indispensabile utilizzare un sistema di immaginologia adeguato e termometri di rilevazione in punti critici.

I RISCHI SCENDONO

La crioablazione del tumori solidi eseguita per via percutanea, sotto guida ecografca o tac, consente di trattare tumori della prostata e del rene, del fegato, del polmone, delle ossa, dei tessuti molli, e del tessuto nervoso con una tecnica mini-invasiva. Il dolore e il disagio per il paziente è minimo garantendo anche un veloce recupero postoperatorio e una degenza molto ridotta, in genere una sola notte. Le complicanze infettive ed emorraglche sono minori rispetto ad altre tecniche analoghe ed il controllo accurato della estensione locale delle aree trattate consente di ridurre significativamente i rischi di danno ad organi vicini.Vale la pena di sottolineare che in alcuni casi la criochìrurgia consente di offrire ai pazienti una possibilità di trattamento anche quando altre terapie non sono ritenute possibili o efficaci. Ad esempio è indicata per i pazienti monorene, già sottoposti a chirurgia dmolitiva della struttura affetta da nuova neoplasia e quindi con compromissione funzionale relativa della stessa.

Per ulteriori informazioni:
http://www.cryoforum.org
http://www.cryoservice.it
http://www.endocare.com
http://www.societyotcryosurgery.org

tecniche con una quantità di possibili complicanze, però, inferiore.

Lo stesso discorso vale anche peri tumori ai reni?

«A livello renale il tutto è ancora più interessante. Fino a poco tempo fa, anche quando si diagnostìcava un piccolo tumore al rene, quest'ultimo veniva completamente rimosso con un intervento a taglio aperto. In seguito si è passati alle tecniche meno invasive in cui si asportava solo una parte dell'organo tramite tecnica laparoscopica. Con la crìochirurgia, invece, si è reso tutto ancora più semplice per il paziente. Poniamo, per esempio, di dover intervenire su un paziente che ha un tumore di circa tre centimetri. Questo verrà sottoposto all'anestesia locale e, sotto guida ecografica e tac, si attiveranno delle criosonde all'interno del tumore e il paziente potrà rientrare a casa il giorno seguente senza avere subito tagli di nessun tipo o anestesie pesanti. In aggiunta, cosa ancora più importante, si arreca un danno minimo ai tessuti renali sani».

Lei ha avuto opportunità di confrontarsi con diverse culture e comunità medico-scientifiche. Quali elementi l'hanno colpita durante i suoi viaggi divulgativi?

«Ho conosciuto civiltà e mentalità estremamente diverse. Trovo affascinante il fatto che in paesi molto civilizzati come gli Stati Uniti o l'Europa, le tecniche crioablative e la criochirurgia in generale abbiano un enorme appeal. Questo perché è il paziente stesso a chiedere di poter usufruire di una terapia mini-invasiva. Invece, nei paesi meno avanzati, si assiste ad un approccio profondamente diverso nei confronti della malattia. Ad esempio, in Indonesia ci si ritrova di fronte a tre mondi, quello induista, quello islamico e quello, minoritario, cristiano. Ed essendo inoltre un paese mediamente povero, ne consegue che per motivi religiosi e abitudini i comportamentali i pazienti tendono ad andare dal medico con neoplasie già molto avanzate. Cioè il contrario di quello che accade da noi».

E questo cosa comporta?

«Le malattie, essendo diagnosticate in uno stadio già avanzato non sono più suscettibili di tecniche chirurgiche tradizionali. E la criochirurgia rappresenta in questi casi un mezzo ottimale per trattarle. Certo, non sempre riusciremo a guarirle, ma almeno potremo asportare una grande quantità di tessuto tumorale senza avere effetti mutilanti. Questo elemento, se parliamo dei fedeli indù, è importante in quanto rispetta la volontà, in caso di morte, di mantenere il corpo intatto, cosi come è stato generato. Invece, a livello religioso musulmano, in cui vi è un fortissimo senso del pudore e della privacy, soprattutto per le donne, interventi demolitivi sono sentiti quali eventi disonorevoli. Per questo un'asportazione non meccanica con mini invasività diventa una tecnica considerata eccellente. Oltretutto i costi sono molto contenuti pertanto è economicamente bene accetta».

In Italia, invece, quale riscontro vi è stato?

«La comunità medica italiana è per certi versi aperta e innovativa. Per altri versi, invece, è estremamente ancorata alla tradizione. Per cui in Italia assistiamo al massimo del progressismo contemporaneamente al massimo della salvaguardia di posizioni classiche, non dico sbagliate, semplicemente consolidate. Ci sono i più feroci custodi della tradizione vicini agli innovatori più arditi. Quindi entrambe le situazioni sono coesistenti. Questo è da ritenere interessante ed utile visto i continui confronti e dibattiti scientifici ma spesso, purtroppo, rallenta le tempistiche di diffusione delle novità terapeutiche. Pensi che per la cura dei tumori prostatici, ci sono voluti ben quindici anni prima che le tecniche crioablative venissero ritenute accettabili».

Cosa si aspetta dal futuro?

«Le tecniche crioablative si stanno diffondendo, sono ormai universalmente accolte e sono sotto l'occhio interessato di tutti gli specialisti. In particolare seguo con attenzione una serie di studi che stiamo svolgendo in collaborazione con alcuni gruppi americani. Scopo del progetto è constatare gli effetti delle basse temperature sui tessuti tumorali nello stimolare una risposta immunitaria. Stiamo cercando di stimolare una sorta di autovaccinazione da freddo dei tessuti. Sono tecniche estremamente sofisticate che implicano l'utilizzo di apporti immunologici, farmacologici, oncologici e criochirurgici. Questo è il futuro della medicina. È orientato verso l'utilizzo di tecniche sempre più multidisciplinari, sempre meno invasive, meno demolitive, più facilmente controllabili e con sempre meno complicanze.