L’applicazione del freddo sui tessuti umani è una tecnica ben conosciuta per il trattamento di varie lesioni tumorali come alternativa alla chirurgia. Già nel 2500 a. C. gli Egiziani utilizzavano impacchi di ghiaccio sulle ferite per alleviare il dolore. Fin dal 19esimo secolo molti studi sono stati condotti per comprovare l’efficacia dell’ablazione dei tessuti e nel 1840 Arnott in Inghilterra fu il primo ad utilizzare la crioterapia nel trattamento di tumori. Tuttavia occorre aspettare i primi del ‘900, quando, grazie alla diffusione di gas liquidi, si iniziarono a trattare tumori del cavo orale e della cute.

Durante i primi anni '60 si cominciò a disporre dei primi strumenti di criochirurgia che utilizzavano azoto liquido come criogeno. Tuttavia a causa della difficoltà nel controllare le caratteristiche di raffreddamento e riscaldamento tale attrezzatura era utilizzata solamente in applicazioni cliniche che non richiedevano un alto livello d'accuratezza. Per  tale ragione, questa tecnica è stata conseguentemente abbandonata a causa dei gravi effetti collaterali e delle complicazioni riscontrate.

La crioablazione viene definita: "Il raffreddamento e la devitalizzazione in sito di tessuti, che può essere applicato e controllato in maniera precisa in modo da produrre una zona prevedibile di necrosi, per distruggere la lesione in questione ed un margine appropriato dei tessuti circostanti"(Patel BC, et al. J Surg Oncology. 1996;63:256-264).

Quando la temperatura raggiunge il livello ipotermico, l'acqua al di fuori delle cellule inizia a cristallizzare, creando cosi un ambiente extra-cellulare iperosmotico che disidrata le cellule stesse. In seguito, ghiaccio cristalizzato inizia ad aumentare di volume a livello extra-cellulare, le cellule si rimpiccioliscono e di conseguenza le membrane e le cellule che ne fanno parte sono danneggiate in maniera rilevante. In poco tempo  l'alta concentrazione di elettroliti è sufficiente a distruggere le cellule. L'effetto di disidratazione della cellula a soluzione concentrata, chiamata danno soluzione-effetto (solution- effect injury) non è sempre letale per le cellule; la formazione di ghiaccio all'interno stesso della cellula è molto più efficace nella distruzione del flusso delle cellule ed è di solito letale (Mazur 1963, 1968, 1977, 1981; Maryman, 1966; Pegg, 1987; Sherman, 1962).
Solution-effect injury è associato con un basso tasso di raffreddamento, mentre la formazione di ghiaccio all'interno delle cellule è associata con un tasso di raffreddamento veloce. Benché l'acqua pura si ghiaccia a 0°C, la formazione di ghiaccio extra-cellulare inizia ad approssimativamente da -7 a -10°C, e a -15°C ghiaccio comincia a formarsi all'interno delle cellule (enucleazione eterogenea). A -40°C tutti i processi metabolici dovrebbero essere cessati (enucleazione omogenea) (Baust and Change, 1995). Entrambi i casi, sia ad un basso tasso di raffreddamento (nell'ordine di diversi gradi Centigradi al minuto) sia un tasso di raffreddamento molto rapido (nell'ordine di centinaia di gradi Centigradi al minuto), sono considerati per il loro notevole effetto distruttivo sul tessuto biologico.

Crioablazione della Prostata

Le recenti metodiche di ecografia transrettale e di controllo ecoguidato delle procedure percutanee transperineali sulla prostata hanno consentito di utilizzare le moderne tecniche di crioablazione per il trattamento del cancro localizzato di tale organo. I continui ed attuali progressi tecnologici sui processi di congelamento dei tessuti umani consentono di considerare in alcune circostanze cliniche la "crioablazione" della prostata una possibile opzione terapeutica alternativa alla prostatectomia radicale che, grazie alla divulgazione di una tecnica standardizzata operata da Walsh, ancora rimane il "gold standard" per il trattamento del carcinoma che sia ancora limitato all'interno della prostata.
Nel 1966 la tecnica della crioablazione è stata ripresa da Irving Cooper con l'impiego delle criosonde collegate con un sistema chiuso di congelamento. Nel 1993 Onik e coll. hanno proposto la crioablazione della prostata per neoplasia localizzata mediante la tecnica transperineale ecoguidata.
Da allora, sono stati introdotti alcuni importanti miglioramenti tecnici: 1) Il monitoraggio intraoperatorio delle temperature raggiunte nella prostata e nei tessuti circostanti. 2) L'impiego di un catetere riscaldato da un flusso di acqua calda allo scopo di proteggere l'uretra dal congelamento. 3) Lo scollamento del retto dal piano della prostata mediante introduzione ecoguidata di soluzione salina nel piano che separa i due organi.
Questi accorgimenti consentono di ridurre notevolmente la morbilità della procedura di crioablazione ed il miglioramento dei risultati. Vengono utilizzate da 6 ad 8 sonde e viene utilizzato il gas Argon per congelare ed il gas Elio per riscaldare e pertanto controbilanciare ove e quando necessario il raffreddamento.
La procedura vene ripetuta due volte nello stesso intervento. Con la tecnica di crioablazione si provoca la formazione di una "palla di ghiaccio" che ingloba l'intera ghiandola prostatica, sede della neoplasia. La palla di ghiaccio è il risultato di una serie di  palle di ghiaccio più piccole, ciascuna delle quali si forma sull'estremità terminale di ciascuna delle criosonde posizionate nella prostata all'interno delle quali viene fatto scorrere il gas Argon.
L'estensione della palla di ghiaccio è modellata dall'operatore il quale azionando in sequenza le varie sonde e modulandone la potenza ne controlla l'estensione mediante il controllo ecografiaco e la rilevazione analitica delle temperature raggiunte dai tessuti circostanti mediante i termosensori.
Il volume della prostata per il trattamento di crioablazione deve essere intorno ai valori ± 40 ml, fortunatamente possediamo mezzi farmacologicamente efficaci per ridurre rapidamente il volume delle ghiandole maggiori.

L'intervento viene eseguito abitualmente in anestesia regionale, la durata dell'intervento è di circa 1.30 ore e la morbilità dell'intervento è praticamente nulla, con perdite ematiche inesistenti.
Nei giorni subito dopo l'intervento può comparire modesto edema dei genitali esterni.
La degenza post-operatoria è, nella maggioranza dei casi, di solo 1 notte ed il catetere vescicale viene lasciato in sede per circa 14 gg. Il materiale necrotico viene riassorbito dal corpo come accade in qualsiasi trauma lasciando al suo posto una cicatrice.
Non viene contemplata l'incontinenza urinaria tra le complicanze, salvo casi molto sporadici ed è comunque transitoria e solo raramente perdura nel tempo.

La disfunzione erettile, spesso legata all'età, può essere comunque riferita al risentimento delle terminazioni nervose periprostatiche ed il recupero funzionale può avvenire dopo circa 12 mesi.
Nei pazienti in terapia ormonosoppressiva, dopo il trattamento criochirurgico, proseguiamo la terapia ormonale per 3-5 mesi, dopo di che essa viene sospesa e si provvede al controllo ripetuto del PSA totale.
In alcuni protocolli i pazienti vengono sottoposti anche ad ecografia prostatica transrettale a 3,6,12,24 mesi e a biopsia prostatica di controllo anche con PSA totale negativo a 6,12,24 mesi.

Indicazioni

La Crioablazione può essere proposta sia con intento radicale che a scopo palliativo, con applicazione quindi sia nelle forme localizzate che in quelle avanzate. Per quanto riguarda queste ultime, si possono individuare le seguenti possibilità d'impiego:

a) pazienti anziani o non suscettibili di procedure chirurgiche,

b) pazienti trattati senza successo con radioterapia esterna o con brachiterapia ed aspettativa di vita di almeno 5-10 anni,

c) pazienti con neoplasie molto voluminose, alto stadio, PSA >10, Gleason score >7, nei quali la chirurgia tradizionale non ha un rischio aumentato di insuccesso allo scopo di limitare le complicanze locali quali l'ostruzione e l'ematuria ricorrente,

d) pazienti che non possono o non vogliono essere sottoposti a terapia chirurgica

e) pazienti che sono stati trattati in precedenza con radioterapia per altre patologie addominali.

f) si sta anche affacciando, in casi altamente selezionati, la possibilità di usare un sistema minimamente invasivo per distruggere solo la zona malata e non tutta la ghiandola in casi molto selezionati al fine di limitare al massimo le possibili conseguenze negative dei vari trattamenti

Controindicazioni

La Crioterapia non può essere proposta ai pazienti con PSA in aumento in corso di ormonoterapia, perché secondo la maggior parte degli Autori non c'è alcuna efficacia statisticamente significativa.

Altra controindicazione relativa è rappresentata da pregresso intervento di TURP.

Complicanze

La moderna crioablazione prostatica non ha più le complicanze che erano frequenti 30 anni fa con i primi apparati rudimentali.

L'introduzione della "criochirurgia ad alta tecnologia" con sonde transperineali sotto controllo ecografico transrettale, associata al controllo della temperatura periprostatica mediante termocoppie interstiziali e l'uso di dispositivi per il riscaldamento uretrale, ha notevolmente ridotto la morbilità complessiva e, prevalentemente, quella dovuta alle lesioni maggiori (fistole rettouretrali, ostruzione, incontinenza, impotenza).

L'incidenza delle fistole rettouretrali varia dallo 0% al 1%. E' riportata una percentuale più elevata nei pazienti trattati per recidiva dopo radioterapia (fino al 10%).

Alcune volte il tessuto necrotico può affacciarsi nel canale urinario causando difficoltà allo svuotamento urinario (complicanza divenuta abbastanza sporadica con le nuove sonde riscaldanti di protezione), altre volte può capitare che si formi un restringimento cicatriziale del canale stesso. Entrambe queste condizioni vengono risolte agevolmente con semplici monovre endoscopiche di pulizia e correzione (courrettage resettivo, uretrotomia interna).

Sebbene molti fattori possano contribuire alla disfunzione erettile dopo crioablazione prostatica, il danno neurvoso sembra giocare il ruolo più importante.

L'impotenza è documentata in quasi tutti i pazienti trattati, nell'immediato periodo post-operatorio.

Nei pazienti in precedenza sessualmente attivi, l'impotenza regredisce col passare dei mesi  ed è presente dal 46% al 84% dei casi dopo 6 mesi dal trattamento (tende a migliorare fino a 3 anni dopo) .

Estremamente limitata è l'incidenza di incontinenza, con percentuali variabili da 0% al 3-4% e di carattere lieve e durata perlo più transitoria, ma l'incidenza di tale complicazione è ovviamente più alta nei pazienti precedentemente sottoposti a radioterapia o TURP (fino al 15% nelle ultime casisitiche).

Giova ricordare nuovamente che è l'impiego di più efficaci dispositivi di riscaldamento uretrale e di termo-sensori interstiziali che permette sia un più completo congelamento della prostata, sia la protezione delle strutture adiacenti con la conseguente riduzione delle complicanze.

Crioablazione del Rene

Nel 1963 Robson pubblicava un lavoro che sarebbe diventato la pietra miliare nel trattamento dei tumori renali; la nefrectomia radicale diventava il gold standard nel trattamento della malattia neoplastica renale. Attualmente, il notevole sviluppo raggiunto dalle tecniche diagnostico-terapeutiche, ci permette di avere diverse opzioni di trattamento, in relazione alle dimensioni della malattia.

Ai giorni nostri è sempre più frequente la scoperta di tumori renali di dimensioni inferiori 4 cm. Questi sono sono suscettibili del trattamento chirurgico "nephron-sparing", che prevede la sola asportazione della neoplasia, con risultati paragonabili, in termini d'efficacia, alla chirurgia demolitiva radicale di un tempo. Inoltre, lo sviluppo delle tecniche laparoscopiche e delle nuove attrezzature utilizzate, ha reso la chirurgia nephron-sparing notevolmente meno invasiva rispetto alle tecniche che prevedono le incisioni chirurgiche tradizionali.

Recentemente sono state sviluppate una serie di metodiche cosiddette ablative, sempre meno invasive, che possono essere eseguite sia mediante approccio laparoscopico che percutaneo. Gli autori hanno valutato i dati disponibili in letteratura sulla efficacia e sulla morbilità delle tre metodiche più promettenti nel trattamento delle piccole neoplasie renali. Stiamo parlando della Crioablazione, della ablazione con radiofrequenze (RFA) e della ablazione con ultrasuoni ad alta intensità (HIFU). La crioablazione viene eseguita con criosonde che utilizzano l'Argon per ottenere temperature prossime ai -190°C, sfruttando l'effetto Joule-Thompson; ne consegue una necrosi coagulativa della lesione con successiva fibrosi. La tecnica può essere eseguita a cielo aperto ed in laparoscopia, sotto controllo ecografico o mediante accesso percutaneo TC guidato. La RFA si esegue con delle sonde ad aghi che permettono di raggiungere temperature >100°C utilizzando radiofrequenze di 400-500 KHz; anche in questo caso la tecnica può essere utilizzata in chirurgia open, in laparoscopia o con accesso percutaneo. L'HIFU sfrutta un generatore piezoelettrico per produrre ultrasuoni ad alta intensità che vengono focalizzati mediante una lente acustica e permettono di raggiungere alte temperature, sufficienti per la denaturazione proteica dei tessuti trattati.

I metodi ablativi rappresentano una grande promessa nel trattamento delle piccole forme tumorali del rene. La crioablazione è tecnicamente semplice da eseguire e presenta un tasso di ricorrenza e di morbilità inferiore alla laparoscopia; presenta inoltre una curva di apprendimento minore rispetto a quest'ultima. La RFA pur non avendo fornito al momento dati significativi rappresenta una valida alternativa alla Crioablazione in casi selezionati, mentre L'HIFU non ha mostrato di possedere una valida capacità di controllo della neoplasia motivo per cui non rappresenta ad oggi una alternativa terapeutica valida .